gatto nello spazio
Nobodyknowsme,  Portineria,  The book is on the table,  We are Family

L’ORIGINE DEL MALE

Le tende erano bianche con dei disegni a forma di rombo sparsi qua e là. Avevano un colore che andava tanto di moda all’epoca: arancio e marrone. Non vestirei nemmeno il mio peggior nemico con quei toni.
Il divano rigorosamente di velluto, consumato nella parte centrale dei cuscini, quella dove sta appoggiato il culo.
Quadri, quadri ovunque. La cucina gialla perché quel colore andava tanto di moda all’epoca.
Il letto in ferro battuto dorato stonava con l’armadio un po’ provenzale che non andava d’accordo con i due piccoli comodini che schifavano le abat-jour malfunzionanti.
Il cesso rosa, perché non era un bagno. Era proprio un cesso!
La stanza del figlio non esisteva, perché non esistevano figli, non erano ancora in programma. “Poi li cercheremo” si devono essere detti, meglio arredarla come una sala da pranzo, con un bel tavolone rotondo e un lampadario importante con delle gocce di cristallo, che fanno benestante moderato.

“Hai ancora la cassetta di sicurezza?”
“Quella verde oliva?”
“Sì, proprio quella”
“A cosa ti serve?”
“Devo nascondere delle cose”
“Posso sapere cosa?”
“Dimmi che in che anni siamo?”
“Di piombo…”

La cassetta color oliva aspettava in cucina da due ore di conoscere la sua sorte, aspettava sul tavolo sotto il mobile a ponte. Loro la guadavano, seduti come due ebeti.
Lui pensava che la famiglia va sempre aiutata, nel bene e nel male.
Lei invece allo scambio delle promesse durante il matrimonio.

“Siete disposti, seguendo la via del Matrimonio, ad amarvi e a onorarvi l’un l’altro per tutta la vita? Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”

Più che promesse diventarono leggi. Troverò le soluzioni, taglierò le teste a chi ci ostacolerà, difenderò il tuo onore marito mio.
Così si alzò e chiamò la mamma. La sua mamma. Perché chiamava mamma, anche la suocera. Che confusione.

Doveva essere andata più o meno così la conversazione:

“Posso venire un attimo da te? Devo portarti una cosa”
“Vuoi venire per cena?”
“Sì, grazie. Non ho molta voglia di cucinare”
“Ho fatto il sugo con gli involtini e i lampascioni”
“Veniamo verso le sette e trenta?”
“Va bene, ma cosa mi devi portare?”
“Tranquilla…domani Carlo mi porta via per il weekend e non voglio tenere i gioielli in casa, ma te lo spiego dopo mamma”
“C’è anche tuo nonno a cena…”
“Basta che non lo fai sedere di fianco a me”
“Lo so! E’ da quando sei nata che non si siede di fianco a te”

Non si sono detti molte parole mentre si preparavano. Lui guardava continuamente l’orologio.
Di fianco allo specchio del bagno c’era una piccola vetrinetta con dei profumi mignon, una piccola scatola di vetro vuota e un angioletto.
L’asse del gabinetto era nera e lo stendibiancheria stava sopra la vasca, con quel sistema di fili sali e scendi che solo una donna sapeva usare. Una donna intelligente.
C’erano ad asciugare due magliette di seta e le mutande.

“Sei pronta?”
“Ancora un attimo”

Uscire era difficile.
E se ci ferma la polizia? E se ci vede il vicino?
Nascosero la cassetta sotto il sedile dell’auto.

“Andiamo?”
“Ancora un attimo”

Quel giorno in garage il male prese forma, lei lo sapeva, ma doveva seguire il dogma senza discussione.

“Se dunque è vostra intenzione unirvi in Matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete davanti a Dio e alla sua Chiesa il vostro consenso”

Lui scese dalla macchina e aprì il cancello. Piano, senza fretta.
Quando risalì, la portiera fece un rumore sinistro, quasi un lamento. Lei lo percepì come un avvertimento divino e iniziò a pregare nella sua testa.
Proteggici dal male, sì dal male.
Fa che non ci fermi nessuno, fallo per me, non per loro. Per loro intendeva la famiglia di suo marito. Salva me.
Quando arrivarono la mamma era fuori ad aspettarli. Aveva strappato della cicoria in giardino.
Lei camminava come se fosse a un funerale, con in mano la sua urna di ceneri e la morte alle sue spalle.

“O Signore, benedici e santifica l’amore di questi sposi: l’anello che porteranno come simbolo di fedeltà li richiami continuamente al vicendevole amore”

“Tutto bene? Hai una faccia…”
“Ho dormito male stanotte”
“E lì dentro ci sarebbero i tuoi gioielli?”
“Sì…”
“Non ti facevo così ricca”
“Ho tanta fame…posso mangiare subito?”

A tavola tutti guardavano nel piatto e ascoltavano distratti il telegiornale. Il nonno era il più silenzioso.

“E dove andate di bello?”
“Andiamo a Venezia”
“Dove?”
“A Venezia…”
“Ho capito, ma in che hotel?”
“Si chiama Hotel San Marco”
“Quando avete deciso?”
“Mi ha fatto una sorpresa, me l’ha detto stasera, tra poco è il nostro anniversario di matrimonio”
“Vuoi che porto i tuoi gioielli in cantina?”
“Adesso beviamo il caffè”

In taverna scesero solo lei e la mamma. I suoi fratelli rimasero in cima alle scale, perché avevano paura del BauBau.

“Mettila qui, vicino al caminetto, dopo ci penso io a nasconderla. Stai tranquilla non la troverà mai nessuno”
“Grazie mamma”

Si mentivano a vicenda e lo sapevano benissimo. Una guerra fredda tra donne. Donne dello stesso sangue, abituate a nascondere traumi sotto i tappeti, bravissime nel rimuovere le impronte.

“Mandami una cartolina”

Così mentre sua figlia salutava dal finestrino, il male bussava alla porta.
Il nonno era ancora a tavola, guardava un film bevendo acqua e limone. Suo marito era andato a letto, perché lavorava come un matto, i suoi figli giocavano in camera.
Prese un piede di porco, un martello e una pinza poi tornò davanti al camino e fece un gran casino. Richiamò tutto al suo cospetto e mostrò loro il contenuto della cassetta.
Il male si rivelò e divise le due famiglie.
Il padre corse subito a prendere una pala per sotterrare quell’orrore, perché loro non erano delinquenti, non venivano da quel paese di malfattori.
Scavò una buca profonda, mentre i figli lo stavano a guardare. Ognuno si fece la sua fantasia, ma come nel gioco del telefono senza fili la verità arrivò distorta.
Il male li aveva accecati.
Dalla finestra del salotto, la madre guardava i suoi figli imitare gli indiani, giravano intorno alla buca facendo dei versi assurdi. Il padre sotterrava il cadavere del male che si era già insinuato in quei miseri cuori.
Poi fece loro cenno di rientrare e tirò giù le tapparelle. Si girò verso il nonno e lo guardò sprezzante.
Gli sussurrò all’orecchio: “Abbiamo trovato un tuo degno sostituto, ora penseranno male di loro e noi saremo salvi. Non ti muovere dalla sedia mentre vado a lavare i piatti”

Il male sedeva di fianco al vecchio, contento di aver trovato un nuovo collega.
All’epoca si usava così.

Il Portinaio

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