Lavoro sporco,  Portineria,  We are Family

3 ANNI CON IL PORTINAIO (The book is on the table)

luci al neon

Cosa faccio adesso?
Il lungo corridoio era illuminato dalla luce di servizio del bagno patronale.
Perchè così lo chiamano quello degli ospiti. Sempre pulito e con i profumi più costosi, lasciati lì per anni a diventare aceto o ricettacolo di batteri marchiati Chanel.
Io dormivo nella stanza degli armadi, proprio alla fine del lungo corridoio.
Potevo vedere benissimo tutte le porte delle altre stanze da letto, controllare che non entrassero ladri o le tanto temute zingarelle.
Mia zia aveva una fobia strana per i Rom, pensava che portassero sfiga.
Per anni ho cercato di spiegarle che il malocchio non esiste, ma lei imperterrita mi rompeva i maroni con il suo piatto, l’acqua e le gocce d’olio.

“Vedi si aprono vuol dire che sei sfortunato”
“Mio padre mi ha regalato l’auto cabrio e tu hai una misera Punto!”
“Perchè anche io ho il malocchio!”
“No! Tu non hai mai lavorato”

La porta aperta del bagno mi dava sollievo perchè potevo vedere quella luce. Avrei potuto urlare “E’ apparsa la Madonna in bagno! Si sta facendo il bidet!”
Ma svegliare i miei parenti per degli scherzi blasfemi da scuola media mi sembrava un po’ esagerato.
Mi emozionavo sempre quando dormivo dalla zia, forse perchè aveva una casa enorme, con il bar in sala e il tinello accanto alla cucina.
A casa mia dormivo nella sala da pranzo, perchè quella minchiona di mia madre doveva sempre fare quelle cene da 800 persone e i miei spazi erano stati “riassunti” in una poltrona letto.
Per anni ho avuto il segno delle molle sulla spina dorsale e il prezzemolo sul cuscino.
Non vi dico quando trovavo le cosce di pollo sotto il mio “pseudo” letto.

La camera dei miei cugini era a sinistra, subito dopo il bagno di servizio, l’unico che poteva essere usato.
Perchè il bagno patronale doveva rimanere sempre pulito, nel caso la Regina Elisabetta passasse da quelle parti.
La sorella aveva la stanza più piccola, sulla destra: una misera scrivania, un letto d’ottone e un armadio da una stagione.
Di fianco c’era, orgogliosa, quella matrimoniale che come un satellite sorvegliava  tutte le altre , quasi a voler dire “Sono qui, se avete bisogno”.
Lo stile era quello barocco meridional tunisino, sembrava di entrare a Versailles dopo un rave party di Renato Balestra.
Invece di dormire guardavo i miei cugini in coda davanti al bagno di servizio come all’autogrill, un “Minchia muoviti mi sto pisciando sotto” rompeva il silenzio e poi le classiche parole di chi si incontra in un night per scambisti “Se qui anche tu?”
Perchè nessuno voleva violare il bagno reale?
Quando tutti erano tornati a dormire, toccava a me andare a fare pipì. Silenzoso come un gatto pronto per sporcare la lettiera pensavo “Ora vi faccio vedere come si contamina un gabinetto”
Sarò il topo che infetta la dispensa, la tarma che mangia i maglioni nell’armadio!
Mi ricordo il colore: bianco e cioccolato. Non tra i miei preferiti, ma molto moderno per i tempi.
Iniziai a scrutare ogni angolo per capire se c’era qualcosa di prezioso.
Un barattolo di vetro tutto intarsiato conteneva dei batuffoli colorati. Non c’era traccia di creme o tonici per il viso, quelli dovevano essere nell’altro, denominato ormai “latrina”.
I profumi più in vista erano di Cartier e Armani, ma dietro le boccette c’erano modesti deodoranti da mercato.
Il peggiore era “Malizia profumo d’intesa”, vero killer per l’ozono e con essenze sintetiche al pollaio/fragola, cane bagnato/rose, cimitero/vaniglia.
Il sapone era liquido, ma per dare agli ospiti un’ ampia scelta, c’era anche la saponetta viola al profumo di lavanda.
Il borotalco era appoggiato sulla vasca.
Mi piace tanto il suo profumo.
Seduto sulla tazza iniziai a buttarmelo in faccia. Ricordavo una maldestra Geisha alle prime armi.
Volevo assomigliare ai demoni delle leggende giapponesi, così iniziai a fare i versi con la lingua davanti al grandissimo specchio.
Più che farmi togliere il malocchio dovrei andare in psichiatria.
Solo in quel’attimo mi accorsi che le lampadine che incorniciavano la specchiera erano la famosa luce di servizio.
Dopo dieci minuti di ginnastica facciale, decisi di lavarmi. Ma non potevo certo usare il lavandino con i rubinetti d’oro finto.
Se lo faccio nel bidet sembrerò un cane assetato e se corro nell’altro rischio di essere beccato.
Certo che macchiare quel candido lavandino e profanare quei morbidissimi asciugamani era proprio un desiderio che avevo da tempo.
Di fianco al water c’erano le salviettine umide. Quelle avrebbero fatto al caso mio. Nessuna traccia nessun colpevole.
Inizai così a strofinarmi guardando il pallore trasformanrsi in rosa carne.
Sulla fronte disegnai l’iniziale del mio nome con il dito.
Mi stavo divertendo come un matto, mi sentivo un ladro! Era come sporcare il cesso di Dio.

“Quello è il mio bidet!”

Lo spavento mi aveva fatto tornare pallido.
Chi era a parlarmi? Forse Gesù aveva scelto il wc di mia zia per ritornare dal Paradiso.
Mi girai e vidi lo zio sulla porta: un bastone lo sosteneva per via della sua malattia.

“Scusami non volevo”
“Tranquillo, qui non ci viene mai nessuno perchè è tua zia ad ordinarlo, ma visto che non lo sapevi per te farò un eccezione”
“E perchè tu ci vieni?”
“Perchè, se non li finisci, posso farmi il bidet con le salviette umide”
“Quindi tu non ti lavi mai…”
“Non mi sembrano discorsi da fare a quest’ora…ora torna a letto che se ci becca tua zia ci fa ripulire tutto da cima a fondo”

Passai tutta la notte a pensare “Potevo anche fare la popò e non tirare l’acqua, avrei visto così mia zia morire!”
Fra me e mo zio ci sarebbe stato un tacito accordo: lui non avrebbe rivelato il mio peccato e io non gli avrei più consumato il suo “bidet” in busta.
Al mattino la prima a svegliarsi era la zia, perchè doveva preparare la colazione per tutti
Nel frigorifero avevano 6 litri di latte che facevano fuori in quasi tre giorni. Ci voleva la vacca Milka in salotto per sfamarli.
Mentre aspettava che il caffè salisse faceva un po’ di ginnastica.
Usava uno strumento bizzarro, uno di quelli che si vedono nelle televendite. Una specie di manubrio con uno stantuffo in mezzo.
Con tutte le sue forze spingeva contro la sua pancia e poi respirava.
E così per tre volte: spingi e respira, spingi e respira, spingi e…prot!
I rumori del suo sfintere arrivavano sotto forma di eco nel lungo corridoio.
Ho sta squoiando un’anatra o si diverte a fare le suonerie con il culo.
Mia zia invece di usare quell’affare per scolpire il suo ventre se ne serviva per fare le puzzette.
Ho una zia petomane!

“Scusa zia ma hai problemi d’aria?”
“Sì, nipote mio! Ma questo coso mia aiuta”
“Prenditi il carbone vegetale”
“Non funziona”
“E allora mi sa che ti hanno fatto veramente il malocchio all’intestino”

(Cosa credevate che avrei scritto un libro serio?)

Tutto è iniziato da QUI.
3 anni sono passati, forse è meglio mettere giù le mie memorie prima che qualche parente mi faccia fuori!

Il Portinaio

iota

Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.” (L.N.Tolstoj)

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