Fai un concorso anche tu,  Lavoro sporco,  Portineria,  Volantinaggio web

INEDITO

cuoreCapita a volte di partecipare a concorsi di scrittura. Giusto perchè non si ha niente da fare.
Un racconto inedito del Portinaio, che parla di temi sociali in maniera seria. Se invece preferite ammazzarvi dalle risate e non riflettere, andate qui e qui, per leggere psycominacce, isterie collettive e offese da seconda media!

La sua camicia è una macchia bianca sul letto. Lei la ignora: infila nel cassetto la biancheria pulita, mette la borsa nuova sul ripiano più alto dell’armadio, apre la finestra e cambia aria alla stanza. Va a sedersi davanti allo specchio. E’ bella, oggi; sembra quasi che il trucco di ieri sera le sia rimasto addosso. Ora può girarsi, raggiungere il letto. Prima sfiora il colletto e accarezza le maniche, poi se la preme sul naso, sulla bocca. Sorride: che stupida.
Va all’armadio e cerca una stampella libera. Si sforza di non guardare il telefono anche se è lì, sul comodino.
Non chiama oggi, preferisce scrivere.
Si sente sola perché non è la vita che voleva. Ma che ci vuoi fare, diceva la mamma, non siamo sempre fortunati al mondo.
Vedrai che un giorno la ruota girerà, per ora stringi i denti e sentiti bella. Perché tu sei bella.
La camicia bianca l’aveva indossata soltanto ieri, il suo giorno libero, fissato da contratto.
Profumava ancora di quell’acqua di colonia che le aveva regalato la nonna prima di partire.
“Di solito nel tempo libero vado al parco, perché è lì che si incontrano tutti”, scrive nella lettera.
“Ognuno qui ha la sua storia. Chi è più fortunato finisce in una famiglia molto agiata, c’è chi non riesce proprio a farcela e chi non ha ancora imparato la lingua.”
Un colpo di tosse le fa buttare la penna sulla scrivania.
Nell’altra stanza un uomo sul letto lotta con la vita, si aggrappa alle sbarre del letto, che servono solo per non farlo cadere, mentre lui vorrebbe andare via, alzarsi, dimostrare al mondo la forza che ha.
Ma il corpo a volte non fa pace con la mente e non risponde ai segnali.
Lei lo guarda dalla porta e non sa, come sempre, cosa fare.
Due mondi li chiamano, due mondi diversi.
Eppure per un periodo di tempo ognuno dovrà aggrapparsi all’altro, come alle sbarre di quel letto, dove lei ha appena appoggiato le mani.
L’uomo ha sete di acqua, di vita e non capisce perché quel volto estraneo lo stia accudendo.
Lei ha fame dei suoi ricordi, del suo paese, da dove non avrebbe mai voluto andarsene via.
Ma è così la vita diceva la mamma.
L’acqua sembra dare sollievo a quegli occhi spenti.
I figli di questo uomo non hanno tempo, né voglia di accudire un padre che ora è soltanto un impegno.
“Noi siamo le loro finte figlie che si sostituiscono ai figli veri”, pensa lei.
“Passo giorni a sentirlo urlare, a lamentarsi e mi chiedo quanto tempo durerà questo calvario.
La sua sofferenza è la mia vita”.
Lei si è resa conto che il dolore di quell’uomo non è altro che il suo sostentamento.
Mangia perché lui piange. Beve perché lui soffre.
Lei può stare qui finché lui non se ne andrà.
Eppure non si era preparata a questa vita, pensava di poter girare il mondo e fare quello che più le piaceva. Vedere Parigi era il suo sogno.
Ma quello che sa fare è proprio non fare niente.
Prende due medicine, lo imbocca, ogni tanto lo copre con una coperta, lo lava.
Come fai a commuoverti per qualcuno che non sai chi è?
Eppure lei ci prova a rimanere fredda, algida. Ma le mani di lui cercano le sue.
Saranno soli finché lui non sceglierà di lasciarla ancora più sola.
La miseria umana non ha limiti, colpisce lei con la frustrazione e uccide lui di solitudine.
Nessuno si occupa di loro, quindi saranno loro a sostenersi.
Sorride nonostante gli occhi siano pieni di lacrime.
Da oggi riderà e farà bene il suo lavoro.
Piega la camicia bianca e la ripone nel cassetto, inspira e sente ancora il profumo di acqua di colonia, odore di casa.
Nessuno le porterà via i suoi ricordi ma per ora ha bisogno di stare con lui, per lui.
Niente più inganni, false promesse o biglietti di auguri. Le avevano promesso una vita piena di stelle e invece è finita a giocare a carte con la morte.
Prende la camicia e l’appallottola buttandola nella cesta della biancheria sporca.
Svuota la boccetta di acqua di colonia nel lavandino e si spruzza un po’ di profumo che quell’uomo tiene nel mobiletto in bagno.
Vuole che anche lui senta l’odore di casa, qualcosa di familiare e se i suoi occhi non riconosceranno più nessuno, forse l’olfatto lo porterà a bellissimi ricordi.
Scosta le tende dalla finestra per far entrare la luce.
L’aria tiepida attraversa la stanza.
Lui la guarda e sa che non è solo, il profumo che sente ora sa di famiglia.

Il Portinaio

6 commenti

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.