stitch ohana vuole dire famiglia
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OHANA VUOL DIRE FAMIGLIA

Rivolgere la parola alla mia famiglia vuol dire ficcarsi in un ginepraio.
Mia cugina ad esempio continua a tediarmi sul fatto che si alza alle 6 del mattino per andare ad aprire la palestra di suo fratello, che quando non ha 8000 Euro sul conto corrente va in iperventilazione e che è stanca di sentire tutti i suoi parenti parlare di malattie. Mia madre compresa.
Io come al solito faccio un passo indietro per non andare in guerra.
Ho imparato che con quelli più vecchi di me bisogna avere pazienza.
Mia cugina ormai va verso la mezza età, ma non posso farglielo notare perchè sennò rischio il caso diplomatico.
Quando mi chiama annuisco.
Tanto ormai le nostre telefonate assomigliano a un colloquio con un’operatrice di Fastweb.
Una volta sono andato in vacanza con lei e i suoi genitori, che sono i miei zii.
E’ stata una delle peggiori estati della mia vita.
Io ero minorenne. E in più mi avevano portato in un posto noiosissimo, in montagna, in mezzo alle giocatrici di Scala 40 e marmotte che confezionevano la cioccolata. 😛
Passavo le mie serate al bar dell’Hotel a guardare la gente con le carte in mano. Di giorno passeggiate in mezzo al niente, la sera intossicato dal fumo e dai pettegolezzi.
C’era un signore sulla sessantina che si era portato l’amante poco più che ventenne. Una relazione nata nelle aule dell’università. Loro erano primi in classifica nella hit parade delle maldicenze.
Poi c’erano i salernitani che avevano adottato una bambina russa tanto carina. Intoccabili per il loro gesto d’amore.

“Si vabbè quando crescerà quella bambina imparerà solo il meridonale”

Dio non era un albergo, ma un covo di serpi.

Una delle vedove del giro di mia zia puntava ricchi imprenditori con il maglioncino di cachemire legato al collo, si sedeva di fronte a loro senza mutande e rifaceva la scena di Basic Instinct.
Ora è sposata con l’ex marito della migliore amica di mia zia.
Io avevo fatto amicizia con il figlio del proprietario dell’Hotel che soffriva di qualche schizzofrenia malcurata. L’anno successivo si è sparato dentro un cassonetto la notte di capodanno.
Mio zio mi cagava la minchia sul fatto che fossi stato eudcato male. Per lui era insensato che alla mia età non avessi il motorino.
Poi mi faceva un lungo elenco sui difetti dei miei parenti materni.
Una specie di tortura psicologica. Io cercavo di fuggire dai suoi tentativi di plagio, ma le marmotte non mi volevano con loro, maledette bastarde pelose! 😛
Una sera sono uscito con mia cugina e un suo amico. Uscire era una parola grossa, si andava a piedi in paese.
Dopo aver vagato per qualche bar abbiamo incontrato un suo conoscente. Ubriaco.
E cosa ha fatto quella scellerata? Mi ha abbandonato con lui in auto per andare a ballare.
Bene adesso finirò ucciso e buttato sul ciglio di una strada, poi mangiato dai lupi e spolpato dai corvi.
Ma questo sconosciuto ha fatto di più. Ha cercato di molestarmi sotto casa di Mike Bongiorno.
Io sono fuggito dall’auto in preda al panico.
Già mi vedevo su tutti i giornali “Ragazzino trovato morto con in mano il gioco in scatola di Lascia e Raddoppia”
Ho corso più forte che potevo.
Quando sono arrivato in hotel ho bussato subito alla stanza di mia zia per raccontarle tutto e cosa mi ha detto, quando si è rassicurata della mia integrità fisica?

“Non dirlo alla mamma”

Ahaahahahahahahahahahah!

Porco diaz! Come no?

Al ritorno dalle vacanze, ci siamo fermati in un ristorante vicino casa.
L’ultimo supplizio.
Mio zio, con il bicchiere in mano,  ha iniziato a sminuire il lavoro dei miei parenti materni.
E poi con quello sguardo da rottweiler pronto per azzannare un povero coniglietto si è rivolto a me.

“E tu cosa vuoi fare da grande? Il parrucchiere ricchione come tuo zio?”
“A parte che mio zio non è ricchione e anche se lo fosse che problema ci sarebbe? E poi…”

E poi dovevo stare zitto. Come faccio adesso. E invece.

“E poi meglio che diventare zoccola come tua figlia”.

Beh è partita una sberla così forte che gli occhiali da sole che avevo in testa sono volati nel piatto di una che stava tre tavoli più in là.
Sono fuggito dal ristorante.
Ho corso più forte che potevo.
Sono arrivato a casa dei miei genitori e ho raccontato tutto.
Questo è per dire a Silvio Muccino che la prossima volta che deve risolvere delle questioni con suo fratello Gabriele invece di andare a raccontarle a Giletti può benissimo rivolgersi a un giudice e non sfrancicarci la minchia. Che è anni che ogni volta che deve uscire un loro film non si fa altro che parlare dei loro panni.
Io lo trovo pessimo.
Poi facessero dei capolavori.

Il Portinaio

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