Amico è,  Il cinema costa troppo,  Lavoro sporco

REGIA #Vogliodormireconte

È vero.
Ho pianto un pochino quel giorno sotto la pioggia. Non pensavo ti ricordassi di ogni particolare.
Quando l’ho letto sul POST mi sono vergognato un po’.
Se ci fosse stato qualcuno a riprendermi, forse mi avrebbe visto arrossire. Ma per fortuna non c’era nessuna telecamera, perché hai presente la figura che ci faccio? Io che pretendo di fare un film sulle fragilità degli altri e arrossisco davanti alle mie?
Mi dico che è la fortuna di stare dietro la macchina da presa. Perché mentre gli altri si mettono in scena, io me ne sto al sicuro nel fuoricampo.
In fondo quello che facciamo io e te non è così distante. Cambia solo lo strumento. Ma il fine, intendo, quello rimane lo stesso.
So perché hai accettato di esserci. So che è soprattutto per la fama e i soldi che ti ho promesso.
Il tuo è il cachet più alto di tutto il film.
Ma so anche che hai capito il senso di questo lavoro lungo e faticoso che mi scopre i nervi e mette in discussione ogni giorno le mie certezze. Ti ho chiesto di condividere con me qualcosa di molto intimo, e tu ne hai scritto, e adesso ti sei lasciato riprendere, con qualche reticenza è vero, ma ci sta, perché tu non sei un animale da palcoscenico, ti nascondi dietro i baffi enormi per coprire la verità delle tue espressioni. So che è il tuo segreto per non arrossire davanti agli altri.

Quindi per una volta faccio come te. Indosso la tua faccia e ricaccio indietro la vergogna. E pago pegno, fiducia e amicizia regalandoti un pezzo di lettera e anche di film. La dedico a noi due.
Ah! Il prossimo film lo giro in Giappone. Così stai sicuro che puoi fare il deficiente vestito da Pikachu.

Mattia C.

Sono le sei di mattina e non riesco a riaddormentarmi.
E va avanti così da diversi giorni, oramai.
Non dormo e non mi fa bene. Mi accorgo che sono passati quattro mesi. Troppo tempo perché io sia ancora qui a soffrire per le pagine bianche, per i messaggi senza risposta, per le dichiarazioni a cuore aperto che sono come eco: tornano indietro, intatte, come le avevo dette.

Ho iniziato con il cancellare i tuoi messaggi, la cronologia telegrafica del nostro amore. Gli ultimi, quelli che ancora conservavo, mi dicevano, Voglio dormire con te, e subito dopo, Volevo starti ancora un po’ addosso. Frammenti di una mattina, di una fuga veloce dal tuo letto.
Dove andavo?
Cos’era più importante del tenerti stretto a me, quando ancora me lo lasciavi fare?

Sono messaggi datati fine luglio, qualche giorno prima che mi beccassi la febbre di Normandia.
Febbre di lontananza, di senso di colpa per non essere stato con te, febbre di libertà che in fin dei conti non volevo, che mi è passata troppo tardi, adesso che vorrei tutto tranne la libertà, adesso che vorrei essere prigioniero tuo e saperti prigioniero mio.

Quella febbre che se n’è andata con una tua telefonata, segno e dimostrazione che solo tu potevi guarirmi.

“Signor regista se facciamo che nel finale si scopre che tua madre sono io? Come in Psycho?”
“Se invece ti prendiamo a coltellate nella doccia? Ricorda sempre Psycho…”
“Ci sto! Vado a prendere le amarene e la tenda della doccia trasperente”

Il Portinaio

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