Amico è,  Lavoro sporco,  Portineria

LE CRONACHE DEL MAGAZZINO 4° Volume – II Parte (Pet Therapy)

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Per essere sereni sul lavoro bisogna andare d’accordo con i colleghi, essere un pochino ruffiani con il capo, sorridere al cliente ed essere pettegolissimi con la vostra compagna di lavoro preferita. Se poi fra di voi nasce quell’empatia che basta solo uno sguardo per intendersi allora è ancora meglio.
Ho passato sei anni cercando di scoprire i segreti più torbidi del negozio. Persino i muri trasudavano frustrazioni, malelingue e misteri irrisoliti. Ad esempio chi cazzo era che ogni stagione mi rubava il numero 41 della collezione Diesel Shoes?
E poi con tutte le belle scarpe che avevo non poteva scegliere una Geox che fa finta di respirare? Una Clark per fare il comunista ai concerti di Jovanotti? No, sempre le Diesel! Il che me la raccontava lunga sulla durata di quelle scarpe! (Certo erano fatte di cartone).
Io ho avuto la fortuna di lavorare con una veterana del negozio. Tale Stella, 35 anni di onorata carriera.
Ha visto passare davanti a sè la moda delle Espadrillas, delle Tepa, dei mocassini e delle Sebago.
Non era una gran venditrice, neanche di buone maniere e persino scostante con i clienti, ma credo sia stata la più sfortunata del gruppo.
Appena arrivato in negozio si stava separando. Per colpa sua!
Aveva ceduto alle lusinghe di un carpentiere in un bar frequentato da assassini, camionisti, perdigiorno e puttanelle.
Quindi il pettegolezzo del mese era capire se quella “fuitina” si fosse trasformata in una relazione seria.
Per me, scaltro come Geronimo Stilton, è stato un attimo.
Dopo quindici giorni dalla mia assunzione ero già diventato il preferito di tutti, perché conoscevo il nome del playboy che l’aveva sedotta.
Com’è successo?
E’ bastato tirarla scema mentre mettevamo in ordine i nuovi arrivi invernali.

“Stella queste scarpe dove le metto?”
“Un attimo, non vedi che sono occupata”
“E queste ciabattine con il pelo per le vecchie con l’artrite?”
“Aspetta sto limandomi le unghie!”
“E queste scarpe Valleverde? E’ bello camminare in una Valleverde? E la Geox respira? O e tutta una cazzata per vendere più scarpe? La Timberland la vendete ancora? Ma Donna Serena ti sembra un nome da dare ad una calzatura? Non è meglio per una tisana contro la meno pausa?”
“Piantala Giuseppe!!!”
“Stella chi è Giuseppe?”

E così minacciandola con una soletta di spugna usata da un camionista, sono riuscito a strapparle una confessione, fra lacrime e il sollievo di chi si libera di un macigno che portava dentro da troppo tempo.
Stella durante la sua separazione ha perso circa 20 chili, se non di più.
Sulla pancia le servivano delle mollette per non far cadere la pelle fino alle ginocchia. Le tette le teneva sotto le ascelle e il viso era scavato, non tanto dal lavoro, quanto dallo stress accumulato.
Era il nostro bersaglio mobile, lei più di tutte, in quel mondo ovattato e protettivo che era il negozio, aveva fatto il passo più audace.
Per dirla in parole povere “aveva provato un altro uccello!”
Mentre io servivo dalla mattina alla sera, Stella evitava i clienti come una brava sciatrice fa con i pali sulla pista, ma era considerata dal capo una persona di fiducia, pronta a sacrificare anche le ferie per rimanere in cassa a prendere i soldi.
In sei anni non credo di averla mai vista felice.
Si beava delle tragedie degli altri e piangeva delle sue.
Per me era croce e delizia.
Lo so che non si ride delle disgrazie altrui, ma voi pensate che io non abbia fatto niente per questa povera donna?
Ogni giorno era un pianto ma anche una risata, bastava un mio intervento per riequilibrare la sua psiche andata a puttane.

“Stella sei andata al cinema ieri?”
“Sì, ho visto Sciac Talè”
“E’ un film arabo?”
“No! Un cartone animato”
“Allora hai studiato francese alle superiori?”
“No…”
“Ma che lingua hai studiato a scuola? Il Lumbard?”

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La leggenda urbana voleva che non avesse finito neanche le elementari, eppure quando le domandavo quanto faceva 3×4 rispondeva correttamente.
La cosa che mi divertiva di più era quando mi chiamava per aiutarla a scrivere la lista della spesa.

“Come si chiama quella cosa al tonno che si spalma?”
“Spuntì?”
“Bravo!”
“Mia figlia è celica”
“Mi spiace non ci vede?”
“Non è cieca è allergica al glutine!”
“Celiaca?”
“E io che ho detto?”

Stella era una piacente cinquantenne, attenta alla ricrescita e con il vizio di guardarsi allo specchio. Aveva una proprietà di linguaggio inesistente e un’ igiene personale scarsa.

“Stella hai mangiato le carote a mezzogiorno?”
“Come fai a saperlo?”
“Ti è bastato sorridere!”

La sua vita amorosa era degna delle peggiore telenovelas brasiliane. Il suo amante le ha lapidato i capitali per soddisfare i suoi vizi. Una vita vissuta pericolosamente e sul lastrico.
Una volta mi disse che in ferie avevano dormito in un parcheggio e che si lavavano nei bagni dei bar.
Io non sapevo cosa pensare. Ero triste e intenerito dalla sua fierezza che nascondeva un disagio gigantesco. Ma non sopportavo il suo comportamento e l’unica cosa che riuscivo a fare era sdrammatizzare il suo dolore.
Così per anni ho disegnato delle bamboline con le sue fattezze che ricordavano un po’ i jingle di Bambola Trippy della Cortellesi.

“Gabry tu conosci qualche sssicologo bravo, devo mandarci mia figlia?”
“Cosa?”
“Sssicologo”
“No, ma se vuoi posso darti il numero del mio logopedista!”

Non so perchè ma era la più detestata da tutte le colleghe, forse perchè era la tirapiedi del capo. L’ho sempre considerata una sopravvissuta, il destino le aveva regalato il peggio e nonostante tutti cercassero di aiutarla, lei non ha mai ascoltato nessuno.

“Gabry oggi ho messo i tacchi”
“Brava proprio quando c’è da fare il cambio di stagione”
“Tranquillo tanto coi tacchi alti non si può stare tanto all’iMpiedi”
“Anch’io quando ti sento parlare non so stare in piedi!”

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Quindici giorni dopo la mia partenza in Giappone, Stella è stata licenziata dalla nuova direzione del negozio.
Ora so che vive lontano, che ha un odio profondo verso il mondo, che parla a mala pena con il fidanzato è che vede raramente sua figlia.
Non ha più trovato lavoro e vive in uno stato miserabile.
Ogni tanto mi viene in mente e spero che ritrovi un po’ di serenità e qualcuno che la faccia ogni tanto sorriddere come ho cercato malamente di fare per sei anni.
Ricordo le sue parole il mio ultimo giorno di lavoro.

“Vedrai che tornerai qui…”

Lei non l’ha più fatto.

(Continua…)

Il Portinaio

“Scusa ragazzo avete scarpe per mia figlia…deve fare petting”
“Scusi?”
“Sì petting con gli animali!”
“Per Dio signora!”
“Le avete o no?”
“Posso darle queste…”
“Ma hanno il tacco…”
“Scusi lei il petting lo fa in ciabatte?”

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